Le occasioni perdute di Frattini
Nutro un profondo senso di solidarietà nei confronti di Franco Frattini. Non dev’essere affatto semplice fare il ministro degli esteri quando il capo del governo si chiama Silvio Berlusconi. E dunque quando sopra la tua testa c’è un signore che è convinto, come ha dichiarato nel corso della conferenza stampa di fine anno, di essere il miglior mediatore disponibile sul mercato mondiale per il primo incontro tra Barack Obama e Dmitrij Medvedev o Vladimir Putin (per lui evidentemente non c’è differenza tra i due leader russi; e forse nemmeno per i due russi). O che crede, sostiene e ribadisce (come ha fatto nuovamente la scorsa settimana) di aver avuto un “ruolo fondamentale” nel conflitto tra Russia e Georgia grazie alla sua “fraterna amicizia” con Vladimir Putin.
Per Frattini non è semplice neanche per un’altra ragione, legata alla particolare congiuntura nella quale si trova oggi la discussione pubblica italiana. Molti ricorderanno che nel 1992, con Mani Pulite e quanto ne seguì, il dibattito di politica estera scomparve improvvisamente e per molto tempo dai giornali e dalle preoccupazioni della politica. Non siamo certo nella stessa situazione di allora, ma come allora la nostra attenzione pubblica tende a concentrarsi nuovamente sui fatti di casa nostra spostando sullo sfondo i grandi dilemmi internazionali. Il mondo non si è fatto più semplice, semmai il contrario, ma per quanto attiene alla nostra politica l’urgenza è tornata ad essere domestica.
Insomma, per Frattini non è semplice. Ma bisogna ammettere che ci mette anche del suo nell’appannare lo stile e i contenuti del mandato alla Farnesina, bucando le occasioni nelle quali un qualunque ministro degli esteri potrebbe facilmente comunicare al paese la sua visione del mondo e degli interessi nazionali. L’ultima occasione è venuta pochi giorni fa, nel corso della sesta conferenza degli ambasciatori italiani organizzata a Roma il 17 e 18 dicembre. Un’ottima idea quella di convocare nuovamente l’intero corpo diplomatico in un’occasione di discussione plenaria, come viene normalmente fatto dai grandi paesi occidentali, dopo una pausa di quattro anni durante i quali la tradizione della conferenza era stata inspiegabilmente sospesa. Un’ottima idea che ha tuttavia prodotto risultati opachi, almeno a leggere quanto è circolato fuori da quelle stanze.
Il documento preparatorio, sopra ogni altra cosa, quello che avrebbe dovuto annunciare al paese le ragioni e gli obiettivi della conferenza, appare vuoto e fumoso anche ad una terza rilettura. Tra molte virgolette e molti anglismi vi si parla di una “una fase fluida, ‘trasformativa’ delle relazioni internazionali, dove il potere è diffuso e i processi centrifughi, e nella quale si stanno ridisegnando le gerarchie internazionali”. Ma anche di “mondo complesso, fluido e a ‘gerarchie variabili’ dove l’azione collettiva e multilaterale esalta, oggi più di ieri, la competizione tra Stati”. Fin qui, nulla questio. Come tutti, anche noi attendiamo con ansia l’insediamento di Barack Obama e le conseguenze che la sua presidenza potrà avere sugli equilibri internazionali. Ma da un ministero degli esteri vorremmo anche sapere con quali strumenti e quali visioni politiche ci apprestiamo ad incrociare la nuova stagione internazionale.
E quando arriviamo all’Italia le cose non si fanno certo più chiare. Perché la miscela è arcinota e per di più presentata nella stessa composizione retorica che l’ha resa ormai innocua e trasparente nel dibattito pubblico. Una spruzzata di europeismo (“è per noi cruciale che l’Europa si affermi e consolidi come attore globale sul piano politico-diplomatico ed economico”), qualche auspicio di rilevanza (“a livello di stati nazionali l’Italia ha interesse a restare tra i ‘players’ europei e globali che contano e decidono”), un vago sentore dell’immagine di patria di poeti e navigatori che amiamo tanto raccontarci (“l’Italia è dotata di un forte ‘potere di attrazione’, un ‘soft power’ frutto della sua tradizione storica... pochi paesi posseggono la nostra capacità di dialogo con culture diverse, capacità che è nel nostro DNA”).
A parte questo, poco o niente. E su questo sfondo, non è davvero un mistero che l’unica vera notizia emersa dalla conferenza sia stata quella dell’incidente della “caraffa tossica” capitato ad Emma Marcegaglia. Al termine di una riunione plenaria della nostra diplomazia, e alla vigilia di un anno che vedrà l’Italia alla presidenza del G9, avremmo francamente voluto sapere qualcosa di più dal titolare della Farnesina. Sarà per un’altra volta, forse.
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Andrea Romano il 23/12/2008 alle 13:33 | |